Nel 2018, l'Italia è diventata l'ultimo degli Stati membri dell'UE a introdurre una misura di reddito minimo. Il nostro lavoro contribuisce a spiegare perché l'Italia è approdata così tardivamente a una simile misura, indagando il ruolo che la sinistra italiana ha storicamente svolto nell'evoluzione delle politiche di lotta alla povertà. Si tratta di un argomento sorprendentemente trascurato. La nostra tesi è che fino alla caduta del Muro di Berlino, la sinistra italiana si è concentrata sugli insiders del mercato del lavoro – cioè i lavoratori dipendenti a tempo pieno e indeterminato – senza apparentemente preoccuparsi degli individui più vulnerabili, gli outsiders, legittimando in questo modo l'assenza di una politica di lotta alla povertà in quanto tale. Lo status quo politico si è, tuttavia, accompagnato a un vivace dibattito tra gli intellettuali e i politici di sinistra. Questo dibattito ha aperto la strada a diversi tentativi da parte dei governi di centro-sinistra negli anni '90 di avviare sperimentazioni nazionali insieme a politiche locali di reddito minimo. Il successo elettorale nel 2013 di un nuovo movimento populista, il Movimento 5 stelle (M.5.s.), che ha fatto del Reddito di Cittadinanza (R.d.C.) la sua bandiera politica, ha alimentato il dibattito pubblico sulle politiche contro la povertà. Questa 'minaccia' elettorale ha contribuito a far sì che il governo di centro-sinistra guidato da Paolo Gentiloni istituisse nel 2018 il Reddito di Inclusione (R.E.I.), il primo schema di reddito minimo in Italia. Il nostro lavoro dimostra, da un lato, l'importanza delle variabili politiche, come la struttura e la dinamica della competizione partitica, nelle politiche di contrasto della povertà e, dall'altro, il ruolo di innovatore politico svolto dalla sinistra in Italia. [ABSTRACT FROM AUTHOR]