L'articolo analizza il ruolo svolto da Natalia Ginzburg e Adriana Motti nella ricezione italiana della scrittrice inglese Ivy Compton-Burnett nel corso degli anni Sessanta. Basandomi su documenti d'archivio conservati presso la Fondazione Einaudi di Torino, e sulle teorie della traduzione che assimilano questa pratica letteraria alla lettura (Spivak, Calvino), il mio contributo intende dimostrare come sia Ginzburg sia Motti si conformino all'ideale traduttivo praticato in Casa Einaudi. In particolare illustro come un caso di traduction manqué nella carriera di Ginzburg dia avvio, da un lato, a una nuova fase creativa e, dall'altro, a un simbolico passaggio di testimone con Motti, traduttrice silenziosa ed esperta, su cui ricade il compito di inventare una voce italiana per questa scrittrice geniale. [ABSTRACT FROM AUTHOR]